Manca l’ultimo miglio, ma c’è un passo avanti

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Avvenire – Marazziti

Biden risponde al Papa e commuta 37 sentenze capitali

«Grazia Biden». Benvenuta. Dopo il più grande provvedimento di clemenza della storia moderna in un solo giorno, per 1.500 persone agli arresti domiciliari per crimini durante la pandemia da Covid-19, dopo avere risparmiato suo figlio Hunter «per evasione fiscale e possesso di armi», e dopo avere graziato 39 persone condannate per crimini non violenti, il presidente americano ha commutato 37 delle 40 sentenze capitali nel braccio della morte federale degli Stati Uniti in carcere a vita. «Non fraintendetemi: condanno questi assassini, provo dolore per le vittime dei loro atti spregevoli e provo pena per tutte le famiglie che hanno subito perdite inimmaginabili e irreparabili. Ma guidato dalla mia coscienza e dalla mia esperienza sono più convinto che mai che dobbiamo fermare l’uso della pena di morte a livello federale», ha detto annunciando il provvedimento.
Perché 37 e non tutti e 40? Il ministro della Giustizia Merrick Garland gli avrebbe consigliato di escludere dall’iniziativa chi si è macchiato di “delitti di massa; “motivati da odio`,` come Dzhokhar Tsarnaev, condannato per l’attentato alla maratona di Boston del 2013, Robert Bowers, che uccise 11 persone nell’attacco del 2018 alla sinagoga Tree of Life a Pittsburgh, e un suprematista bianco, Dylann Roof, che nel 2015 massacrò nove persone nella chiesa episcopale metodista nera Emanuel a Charleston, in South Carolina.
Nel 2020 e 2021 da Roma, nel 2023 dal Colosseo, il 28 novembre di quest’anno con venti ministri della Giustizia e, di nuovo, solennemente dal Colosseo con 2.500 città del mondo, avevamo chiesto la commutazione di quelle sentenze. Papa Francesco, instancabile, lo ha chiesto all’Angelus l’8 dicembre e, ancora, in una telefonata al presidente americano pochi giorni fa. Un coro si è levato negli Usa. È accaduto. Manca l’ultimo miglio, ma è un grande passo avanti. È un messaggio anche per il Giappone, inquieto per un clamoroso caso di condanna a morte di un innocente per prove fabbricate ad arte.
«Grazie Biden». Da senatore, nel 1994, aveva presentato una legge anti-crimine che conteneva la pena di morte, e la tv C -Span ha ritrasmesso il caldo intervento con cui la rivendicava con orgoglio. In 30 anni si cambia: possono cambiare i colpevoli di crimini terribili. E anche i politici. Tutti possono e devono avere questa possibilità. In campagna elettorale, nel 2020 – durante gli ultimi sei sanguinosi mesi della prima presidenza Trump, quando una moratoria delle esecuzioni federali era stata annientata da 13 esecuzioni nel braccio federale, più di quanto era avvenuto in 150 anni di storia americana – Biden aveva preso l’impegno di abolire la pena di morte a livello federale negli Stati Uniti. Ma non è accaduto nei suoi “primi cento giorni”; e in tanti hanno cominciato a disperare che mai accadesse.
La pena di morte è l’uso terribile della violenza al massimo livello, quella di un intero Stato contro un individuo. Non rappresenta la forza di uno Stato ma la sua impotenza. Legittima, in casi particolari, in nome della sua difesa, proprio la distruzione della vita. Lo Stato che amministra la pena di morte si sostituisce a Dio e si muove come se fosse Dio, ma non lo è. La vita umana non è nella sua disponibilità, non può restituirla in caso di errore.
Biden ha mostrato che non è necessario continuare a uccidere per dimostrare che uccidere è sbagliato, e indica una strada per ridurre la violenza: più cultura della vita e meno cultura della morte. È un ragionamento che vale, varrebbe anche nelle guerre, che crescono per automatismi e rappresaglie in maniera insensata e, da qualunque parte stia la ragione iniziale, provocano sempre “crimini di massa” e “motivati da odio”. La guerra di un uomo contro un altro uomo non è diversa: e ne fanno le spese le donne, troppe.
Paga chi è etnicamente, religiosamente minoritario, chi parla un’altra lingua o vive ai margini della società. Pagano quelli che vengono inghiottiti in mare e che si scoraggia a salvare. Chi vive una vita tossica nella terra di nessuno globalizzata che sta in mano ai signori della droga, che si nutrono di morte e non temono di certo le pene capitali. Pagano le infinite schiere di civili, bambini e non, massacrati nelle guerre, i giovani mandati a morire con leggerezza.
L’unica via di guarigione è meno violenza, e svuotare progressivamente anche «la pena di morte a pezzi». È importante che il mondo faccia a meno della pena capitale, e che lo faccia presto: come è accaduto già nella storia, almeno nelle leggi e nella coscienza morale dell’umanità, per la schiavitù e la tortura. Siamo più vicini.