Ricordando Bill Pelke, fondatore di “Journey of Hope”. Articolo di Mario Marazziti

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«Che può venire di buono da Gary?», avrebbe detto Natanaele di Bill Pelke, nato proprio in quella piccola città dell’Indiana sul lago Michigan. Era tornato vivo dalla guerra del Vietnam, ma non ne parlava. Era operaio in un’acciaieria concorrente della Arcelor Mittal, pure lì vicino: in quella zona, nel 1919, per reprimere le rivendicazioni di operai che lavoravano come all’inferno avevano instaurato la legge marziale.

Bill Pelke: faccia da bambino con il ciuffo, grande di corporatura, t-shirt nera con un logo verde, Journey of Hope, from violence to healing, dalla violenza alla guarigione. È morto la scorsa settimana davanti a casa sua, mentre spalava la neve: un gigante umile della battaglia contro la pena di morte. Co-fondatore dei Viaggi della Speranza e del Movimento delle Vittime per la Riconciliazione, ha attraversato 40 Stati americani e i continenti, offrendo a tutti storie vere di guarigione dall’odio. Non era un oratore, ma era contagioso lo stesso. Il 14 marzo del 1985 quattro ragazzine, Paula Cooper, 15 anni, Denise, 14, Karen,16, e April, 15 anni, avevano suonato alla porta di una 72enne del quartiere, Ruth Pelke, la nonna di Bill che insegnava la Bibbia, felice di aprire a quattro adolescenti.

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